Questa sezione raccoglie le testimonianze degli addetti ai lavori, coloro che grazie alla loro professione di macchinista hanno avuto occasione di condurre la E.636 lungo le linee ferroviarie italiane, conservandone un vivissimo e spesso affettuoso ricordo.

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Contributo di Daniele Pasqualini, macchinista della Divisione Logistica di Trenitalia presso il DL di Bologna San Donato.

3 Maggio 2007.
Io sono un “piccolo” veterano delle E.636, in quanto le ho vissute “soltanto” per 10 anni, dal 1996 al 2006. Dieci anni, comunque, intensi: ho fatto centinaia e centinaia di viaggi con le E.636. Devo bei ricordi alla E.636, poichè è stata la prima locomotiva che ho guidato da Aiuto Macchinista, la locomotiva con cui ho imparato a guidare i treni, la locomotiva con la quale ho imparato a fare le manovre. Nelle manovre, la E.636 era semplicemente fantastica, ad iniziare dalla forma della cabina di guida (tra l’altro come le E.646 di prima serie, poi diventate E.645 Serie 100): se ti affacciavi dal finestrino lato guida, grazie alla particolare conformazione del muso, riuscivi a vedere perfettamente e comodamente il respingente sinistro; quindi riuscivi ad accostarti ai respingenti del carro/carrozza cui ti dovevi agganciare, misurando molto bene la distanza. Evidentemente, al tempo gli Ingegneri FS ci avevano pensato, a questa particolare comodità per il Macchinista.
Le E.645 e E.655, nonostante i loro musi un po’ più squadrati consentono ancora di vedere il respingente, ma bisogna affacciarsi un po’ di più. Invece, dalle E.633 in poi, comprese le E.402, non è affatto possibile vederli (a meno che il Macchinista non sia alto almeno 1.90m!), affacciandosi dal finestrino della cabina di guida: ciò significa che il maestro deve fare l’aggancio “alla cieca”, cosa non molto piacevole.
Inoltre, nelle manovre la cabina di guida delle E.636 era “intelligente” anche per un’altra caratteristica: dall’interno della cabina, accostandosi al vetro centrale e guardando in basso, era possibile riuscire a vedere il gancio e gli attacchi della condotta. In tutte le altre locomotive costruite successivamente, ciò era impossibile.
Un’altra caratteristica che rendeva adatta la E.636 nelle manovre era il maniglione: molto pratico da usare, la macchina era molto docile in prima tacca (100 Ampere di corrente), volendo potevi spostare la locomotiva anche solo di 30 cm avanti, se volevi… e l’esclusione reostatica era ben dosabile. Ciò era buono soprattutto per le manovre a spinta; la E.636 era molto regolabile per “lanciare i carri”: una dote importante per questo tipo di manovra, molto delicata, dove dare 10Km/h di troppo nello spingere un carro può significare farlo urtare troppo forte contro il materiale fermo, magari facendolo sviare. Per contro, le più moderne macchine elettroniche, come le E.633 e le E.402, non offrono la manovrabilità delle E.636: sono meno controllabili e molto più “esuberanti” nella potenza.

Alcune manovre (tipo l’accostamento al materiale per l’aggancio) bisogna farle con i freni parzialmente tirati, per impedire che la macchina “aggredisca” il materiale fermo! Con le manovre si forma il treno, e quindi si parte. All’atto dello spunto la E.636 soffriva di un basso peso assiale (meno di 17 ton/asse) che, in condizioni di pioggia e con un treno pesante, le impediva di partire con il massimo sforzo di trazione; bisognava limitare cautelativamente gli assorbimenti dei motori a 300-350 Ampere in Serie, per non generare slittamenti. Comunque, la E.636 non era certo drammatica negli slittamenti come la E.428 o la E.444: una volta superati i 20 Km/h non slittava mai più (mentre tutte le altre locomotive più potenti delle E.636 slittano anche in velocità). In condizioni di bel tempo, invece, era possibile dare tutta potenza (450 Ampere) in Serie, escludendo gradualmente la manetta, per effettuare l’avviamento. In ogni caso, comunque bisognava stare attenti ad avviare il treno gradualmente e senza strappi ai tenditori, specie con i treni lunghi.
Terminata l’esclusione della “Serie” (20Km/h circa con le E.636 21/65), si poteva iniziare a vedere se il Macchinista “ci sapeva fare” con la E.636. Innanzitutto, il “bravo” maestro usava sempre e solo la mano destra per fare QUALSIASI movimento con il maniglione, lasciando la mano sinistra SEMPRE appoggiata sul rubinetto del freno continuo.

Le E.636 non avevano il “combinatore motori”, erano completamente manuali, pertanto la transizione da “Serie” a “Serie-Parallelo” e da “Serie-Parallelo” a “Parallelo” andava fatta con sapienza. Nei nodi di transizione del maniglione si verificavano tre passaggi di Apertura-Chiusura-Apertura dei contattori di combinazione; ed il Macchinista doveva fare il passaggio “lentamente, ma non troppo”, con una piccola sosta intermedia di una frazione di secondo… era insomma necessario un pizzico di “feeling” con la locomotiva per effettuare una buona transizione. In caso di manovra “maldestra”, vistosi lampi e sfiammate si originavano dai contattori di combinazione, all’interno della cabina AT… particolarmente impressionanti di notte: i lampi sfolgoravano dal finestrino della cabina Alta Tensione, illuminando la cabina di guida!
Nelle E.636, la velocità alla quale veniva fatta la transizione diretta, tra le varie combinazioni, dipendeva soprattutto dal livello di esperienza del Maestro. Ci sono Macchinisti abituati da sempre a guidare su linee pianeggianti: per loro, “guadagnare la velocità” non è mai stato un problema. Se chiedi a questi Macchinisti “A che velocità si facevano le Transizioni sulle E.636?”; loro ti risponderanno: “A 30Km/h puoi dare la Serie-Parallelo e a 60 Km/h puoi dare il Parallelo”.
Ci sono altri Macchinisti, invece, che sono abituati a ben altre linee, tipo i valichi Alpini o Appenninici… e la loro esperienza è ben diversa. Loro sanno bene che, con la E.636, se volevi avere una minima chance di guadagnare un pochino di velocità, con i suoi poveri 2100Kw di potenza, prima di una lunga e brutta salita… bisognava “sparargli” dentro la Serie-Parallelo già a 20Km/h ed il Parallelo a 45 Km/h. Macchinisti di montagna… ma non facevano nulla di male: i motori della E.636 erano comunque protetti dai relè di “massima corrente”; bastava prestare attenzione agli amperaggi. Semplicemente, era uno stile di guida più “allegro” e adatto alla situazione.
Guadagnare la velocità con le E.636 era in effetti la cosa più difficile, specie con i treni pesanti. Bisognava approfittare di ogni avvallamento della linea, di ogni “falsopiano”, utilizzando sempre gli Shunt. La E.636 con rapporto di trasmissione 21/65 aveva un buon “tiro” fino a 60Km/h, poi l’accelerazione diminuiva progressivamente ed inesorabilmente. Mi ricordo che una notte partii da Ancona verso Bologna S.Donato, con una E.636 21/65 con una massa rimorchiata di 1000 tonnellate precise. Con la linea pianeggiante e tutti i segnali a via libera (verde, verde, verde…) transitammo da Falconara, a tutta manetta, a 90Km/h. In pratica, erano stati necessari 10 Km di via libera, per consentire alla E.636 21/65 di raggiungere i 90Km/h con 1000 tonnellate rimorchiate… su una linea pianeggiante! Ovviamente, in salita, le cose peggioravano. Sulla linea Prato-Bologna, nel tratto Vaiano-Vernio con salita al 12 per mille, era difficile riuscire a superare i 75 Km/h con 700 tonnellate rimorchiate, tra l’altro con il treno già lanciato in velocità, proveniente da Prato. In caso di sosta a Vaiano e ripresa della corsa, si superavano di poco i 60Km/h nel percorrere la salita, sempre con 700 tonnellate (la prestazione massima ufficiale delle E.636 21/65 da Prato a Vernio erano 950 tonnellate a 55Km/h).
A questo punto, bisogna fare una considerazione: stiamo parlando di una locomotiva, la E.636, nata alla fine degli anni Trenta ed entrata in servizio nel 1940. All’epoca, il sistema di trazione “standard” in Italia era costituito dalle locomotive a vapore, le più potenti delle quali, la Gr.691 e la Gr.746, entrambe da 1750cv (meno di 1290Kw)… erano comunque decisamente inferiori in prestazioni alle prime E.636, da 2100Kw di potenza.

All’epoca, negli anni Trenta e Quaranta, i treni merci da 1000 tonnellate non erano la normalità… era più frequente vedere composizioni merci da 400-600 tonnellate; servite rigorosamente da frenatura di tipo “merci”, con velocità massima di 85Km/h ed orario calcolato, in pianura, generalmente a 60Km/h (solo le derrate alimentari avevano orario impostato ad 80Km/h).
Sempre all’epoca, i treni viaggiatori “Direttissimi” (Espressi) erano genericamente composti da una dozzina di carrozze da 120Km/h, per una massa rimorchiata di circa 500 tonnellate; con orario calcolato, in pianura, generalmente a 100Km/h. Le E.636 svolgevano molto bene questi servizi, meglio delle locomotive a vapore e similmente alle E.428.
Va detto inoltre che le E.636, sin dal progetto, non furono affatto concepite per esprimere il massimo della potenza e della tecnologia ferroviaria all’epoca disponibile”… ma, semplicemente, per essere delle “brave e capaci tuttofare”, affidabili, robuste e molto economiche nella manutenzione.
Purtroppo, la progettazione delle E.636 era stata, tra l’altro, pesantemente influenzata dall'”Autarchia”, instaurata dal Regime Fascista, dalla metà degli anni ’30, a seguito della rottura diplomatica dell’Italia con la Società delle Nazioni, causa la guerra coloniale in Etiopia. L’Ingegner D’Arbela, il padre delle E.636, si vide quasi costretto a replicare la parte elettrica delle E.626 sulle E.636; poichè la creazione di una locomotiva completamente nuova, anche nella parte elettrica, avrebbe impedito l’intercambiabilità dei pezzi delle nuove E.636 con le E.626, E.326 ed E.428… mettendo in difficoltà le Officine FS e causando un considerevole aumento delle spese di manutenzione; cosa contraria alla politica Autarchica del Regime, impegnata anche nel contenere le spese delle FS. Se non ci fosse stata l’Autarchia, forse l’Ingegner D’Arbela si sarebbe sentito un po’ più “libero” di equipaggiare le E.636 con una migliore parte elettrica… magari, con i più moderni e performanti motori “Tipo 92 a 5 gradi di Shunt” da 415Kw uniorari, già progettati nel 1939, nonché ventilazione reostatica; ottenendo così una locomotiva da 2490Kw di potenza e almeno 103 tonnellate di massa… anziché sfornare le E.636 come le abbiamo conosciute fino ad oggi.
Ma fu la Storia a decidere per lui.

Oggi, a distanza di tanti anni, molti Macchinisti FS parlano male delle E.636: pessimo confort, elevata rumorosità, spifferi di aria in cabina di guida. Obiettivamente: oggi è fin troppo facile parlare male delle E.636, proprio come delle “cugine” E.424. Sono sicuro che, magari tra 20 anni, i giovani Macchinisti parleranno male delle E.656/E.655. Io credo che, semplicemente, ogni locomotiva dovrebbe essere valutata nel periodo storico in cui è nata.
Le E.636, abbiamo detto, entrarono in servizio nel 1940. A quel tempo, una parte consistente della popolazione italiana viveva in campagna, senza acqua corrente in casa ne elettricità, con il bagno nel cortile. Le famiglie che vivevano in città, operai ed impiegati, avevano un tenore medio di vita non paragonabile a quello dei nostri giorni.
Quanto alle FS, i Macchinisti che si videro assegnare le prime E.636 fecero letteralmente i “salti di gioia” ed erano considerati dei “privilegiati”; rispetto alla grande maggioranza dei Macchinisti che lavoravano ancora con il carbone e il vapore.
Rispetto alle E.626, le E.636 si dimostrarono subito macchine nettamente migliori; oltre alle buone prestazioni erano ben più confortevoli nella condotta: le sospensioni delle E.626 erano orribili, al confronto di quelle delle E.636; così come nettamente migliore era la visibilità dalla cabina delle E.636 (tre parabrezza frontali), rispetto a quella specie di “carro armato” che era la E.626!
Rispetto alle E.428, le E.636 soffrirono sempre di un certo “complesso di inferiorità”, sia in potenza che in accelerazione; ma anche in questo caso il comfort della cabina di guida delle E.636 era migliore di quello delle E.428. Alcuni Macchinisti anziani di oggi, ricordando le E.636, si lamentano degli sbandamenti laterali in cabina di guida, che occasionalmente accusavano… beh, mi è stato raccontato da altri Macchinisti, “veramente anziani” (in pensione da tanto tempo), che sulle E.428 a 120Km/h… alcuni sbandamenti erano talmente forti che quasi ti buttavano giù dal sedile di guida, se non ti reggevi forte! Il sottoscritto, sinceramente, in 10 anni che ha guidato le E.636, non ha mai provato sensazioni talmente brutte, come quelle descritte per le E.428. Resta comunque il fatto che, a dispetto della minore potenza
installata rispetto alle E.428… le prestazioni in salita, delle E.636 21/65, erano migliori rispetto a quelle delle E.428 (grazie alla trazione su sei assi ed al rapporto di trasmissione più “corto”).

E’ vero che la E.636 era una locomotiva molto rumorosa; e questo era il suo difetto più odioso. Anche se, personalmente, avendo avuto una lunga esperienza anche con le E.424N 19/65, devo dire che le erano generalmente un po’ più rumorose delle E.636. Ma guardando sempre all’epoca… forse i Macchinisti preferivano comunque il rumore degli ingranaggi della E.636, ai disagi del servizio con le locomotive a vapore.
Quanto alle altre “accuse” generalmente rivolte alle E.636, del tipo: spifferi di aria in cabina di guida, infiltrazioni di acqua, riscaldamento insufficiente, aria condizionata guasta, odore di olio bruciato proveniente dalle scaldiglie, coibentazione in amianto… beh, credo che queste non rientrino tanto nella “descrizione storica” della macchina, quanto piuttosto nella polemica Sindacale e nelle problematiche della manutenzione.

Ma ormai… è solo Storia!

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Contributo di Mario Borio, ex macchinista ed ex capodeposito, volontario del Museo “FERALP” di Bussoleno (Torino).

Torino 5 ottobre 2008

Sono un ex macchinista che, nell’ormai lontana primavera del 1966, appena ultimato il corso da Aiuto Macchinista, iniziava il servizio nel DL di Torino. Da poco conclusa l’era del trifase, il sistema a corrente continua, per il personale era ancora una novità e comprendeva quasi esclusivamente le E.626, E.636 ed E.428. Rarissime le E.645/E.646 ed ancora di più le E.424 che avevano un turno ridotto e ben definito. In quell’epoca a Torino le locomotive E.636 erano le più diffuse poiché, grazie alla loro versatilità e possibilità di circolare su quasi tutte le linee elettrificate, svolgevano una rilevante quantità di servizi ed inoltre, fino al 1970, avevano praticamente il monopolio sulla relazione Torino – Modane. La maggior parte di esse era già stata dotata di interruttore rapido, ma era ancora possibile trovarne qualcuna con il separatore D’Arbela, mentre un piccolo numero aveva ancora i contattori di linea tipo “420 SR”, poco graditi al personale per il frequente malfunzionamento. A parte quindi l’applicazione dell’interruttore rapido, le macchine erano ancora allo stato di origine. I compressori erano i classici C38, i rubinetti del freno tipo FS a 7 posizioni, il tergicristallo dell’Aiuto Macchinista aveva ancora il funzionamento manuale, erano ancora presenti gli oliatori Friedmann sui carrelli, gli smorzatori tra le due semicasse, le prese d’aria sul lato destro e gli sgabelli erano sì imbottiti, ma privi di schienale.

Le macchine di Bussoleno, che ad eccezione della 082 appartenevano alla serie del dopoguerra, (numeri tra 110 e 263) erano sempre in perfette condizioni di verniciatura, di pulizia e di funzionamento. A queste era stato recentemente applicato il dispositivo “bitensione” che consentiva di avere, anche sotto la tensione francese, un rendimento delle apparecchiature ausiliarie, come i compressori e le scaldiglie, praticamente normale. Alcune macchine, sempre del DL di Bussoleno, erano ancora provviste di boccole ad olio di tipo “Athermos”, sistema che in Italia ha avuto ben poco seguito. Ad eccezione dei treni rapidi o di particolare importanza, la locomotiva più gradita che poteva essere consegnata al personale era una E.636. All’epoca il personale, abituato ai mezzi trifase ed alle 640 e 743 ancora attive in buon numero, non si preoccupava della rumorosità della trasmissione, né degli spifferi dalle porte e nemmeno della scarsa efficienza delle scaldiglie: era la più confortevole locomotiva esistente. A proposito delle scaldiglie, queste essendo poste sotto il pavimento delle cabine di guida e rimanendo inserite per lungo tempo, come poteva avvenire con i treni merci, facevano sì che i piedi fossero doloranti per l’elevata temperatura a cui erano sottoposti, anche se si aveva freddo nel resto del corpo. Per quanto riguarda la poi tanto lamentata rumorosità, questa penso sia dovuta principalmente al fatto che le E.636 sono state le uniche locomotive dotate di ingranaggio intermedio tra pignone e corona dentata. È evidente che ad una doppia serie di contatti tra i denti di ingranaggi cilindrici, a parità di usura, corrisponde grosso modo un doppio rumore.

Nel periodo di circa tre anni, in cui ero inserito nel turno “merci”, un gran numero di treni era svolto sulla linea Torino – Modane. Alcuni erano viaggiatori, principalmente “accelerati”, mentre la maggior parte merci. Questi ultimi, diretti in Francia, erano di norma del peso trainato di 800 tonnellate e, fino a Bussoleno, non vi erano problemi per viaggiare a 60 o 70 km/h. A Bussoleno veniva quasi sempre aggiunta una seconda E.636 in testa per cui occorreva notevole accortezza nei modi e nei tempi di esecuzione delle transizioni. Gli avviamenti, in particolare, erano sempre fatti con correnti al limite dello scatto per poter raggiungere, sulle rampe, la velocità di 50 o 55 km/h con il minor impiego possibile del reostato. Di norma si evitava l’indebolimento di campo. Per tacito accordo, tramandato oralmente da macchinista a macchinista, e mai scritto sul Regolamento Segnali, necessitando la disinserzione per rallentamenti o segnali chiusi, il macchinista di testa lo ordinava con due fischi brevi e la ripresa della trazione con un solo fischio altrettanto breve. Nel percorso verso Torino invece, la maggior parte dei treni merci era di 1100 tonnellate ed occorreva la tripla trazione: due E.636 in testa ed una in coda. La parte acclive in salita era però di soli 10 km circa. Le modalità di condotta dei mezzi di testa erano le stesse dell’andata, con la variante che, per raggiungere i 30 km/h nell’ambito di Modane, occorreva fare quasi subito il serie-parallelo, causa la tensione di alimentazione francese di soli 1500 volt. Sensibilmente diversa la condotta della terza locomotiva che, non essendo in grado di udire i fischi anzidetti, traeva l’ordine di inserire o di disinserire dalle indicazioni del manometro della pressione in condotta generale. Se questa scendeva a meno di 5 kg/cm2 occorreva disinserire con cautela, se invece ritornava a 5 occorreva riprendere, sempre con molta cautela, la trazione. Operando diversamente si causavano degli strattoni tra i veicoli con possibile rottura degli organi di aggancio del treno. Superato il confine, a circa metà galleria, diveniva sufficiente una sola locomotiva, perciò quella di coda era normalmente sganciata a Bardonecchia per ritornare isolata a Modane, mentre quella in testa assoluta proseguiva quasi sempre fino a Bussoleno per un successivo rinforzo. Anche se raramente, per gli stessi servizi, poteva essere assegnata una E.626, e questo veniva accolto con rammarico del personale di macchina. La relativa semplicità dei circuiti elettrici delle E.636 permetteva al personale una perfetta conoscenza degli stessi, che era in grado di intervenire rapidamente, e a volte anche senza nemmeno consultare gli schemi, per fronteggiare eventuali anormalità di funzionamento sopraggiunte.

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Contributo di Dario Rotolo

Mi chiamo Dario Rotolo e, sin da piccolo, sono sempre stato appassionato di treni. Tra i miei locomotori preferiti, la E.636 occupa nel cuore un posto del tutto speciale e, per prima cosa, vorrei complimentarmi per il sito: eccezionale. Un lavoro di documentazione davvero eccellente, con un vasto repertorio fotografico, e le informazioni relative a ciascun esemplare prodotto.
Dicevo che, tra tutti i locomotori, la E.636 ha un posto speciale nel mio pantheon personale. Essendo cresciuto in un condominio a pochissimi metri dal vecchio tracciato ferroviario di Castellaneta, lungo la linea Bari-Taranto, ho convissuto per anni con i treni che sfrecciavano lungo la ferrovia, imparando ad amarli.
Divenni un assiduo frequentatore della Stazione Campagna (lo scalo ferroviario secondario) di Castellaneta, facendo amicizia con tutto il personale lavorativo, al punto che mi permettevano di azionare (ovviamente in loro presenza, ci mancherebbe altro!) gli scambi quando era attesa una qualche fermata in azione.
Un’estate di tanti anni fa, erano i primi anni ’90 grossomodo, arrivando in stazione in bici mi imbattei in una volante dei Carabinieri e diversi mezzi dei Vigili del Fuoco all’opera: una locomotiva E.636, trainando un pesante merci proveniente da Taranto, carico di tubi della Dalmine, aveva subito un principio di incendio (suppongo si trattasse del reostato). Questo locomotore, danneggiato, una volta domate le fiamme fu sistemato su un binario morto nei pressi della stazione. Rimanendovi per qualche settimana, in attesa di un’eventuale rottamazione/riparazione.
In quelle assolate settimane d’estate, trascorsi praticamente ogni giorni a studiare quel meraviglioso “mostro” d’acciaio: essendo stato lasciato aperto (ed incustodito) divenne ben presto la meta del pellegrinaggio di decine di ragazzini, più o meno realmente interessati al mondo dei treni, che desideravano vedere da vicino, e toccare con mano, quello splendido “mostro” in livrea “castano Isabella”.
Salii a bordo di quella E.636 innumerevoli volte, respirando la puzza di bruciato che emanava, inebriandomi, e studiando ogni dettaglio di quell’impressionante macchina. Ero sempre l’ultimo a lasciare la E.636, prima di tornare a casa per cena, quelle sere d’estate, ed il primo a tornarci la mattina seguente.
Ricordo ancora l’amarezza quando, una mattina, trovai il binario che l’aveva ospitata libero: era stata portata finalmente via.
Da allora, non ebbi modo di sapere altro circa quella E.636. Ignoro se sia stata riparata o demolita. Semplicemente, scomparve nel nulla. 
Mi sono chiesto piᅵ volte, nel corso degli anni, che fine abbia fatto. Non ricordo, in tutta onestᅵ, quale fosse la sigla identificativa della macchina in questione. Se non erro, si trattava di un esemplare prodotto presso le Officine Reggiane, manutenuta presso le Officine Grandi Riparazioni di Foligno.
Non dispongo di alcun altro elemento identificativo, e qui veniamo al punto: come sarebbe possibile riuscire a sapere qualcosa di quel locomotore? So che si tratta di una richiesta a dir poco assurda, ma come potrei fare a sapere che fine fece quel locomotore?
So che magari sterete ridendo, nel leggere questa mia richiesta, ma davvero mi piacerebbe sapere se quella locomotiva fu accantonata o riparata. Dubito fortemente possa essere stata, in seguito, preservata come esemplare di interesse storico (anche se ne ignoro la storia, probabilisticamente parlando ᅵ molto, molto difficile).
Ogni tanto ripenso a lei. A quella meravigliosa E.636 bruciacchiata ed al suo odore. A quelle giornate d’estate trascorse ad arrampicarmi in lungo e largo su quel “mostro”. 
Che ricordi!

A volte spero che si sia per assurdo salvata dall’accantonamento, continuando a viaggiare in lungo ed in largo per anni, prima di essere definitivamente accantonata e, quasi certamente, demolita.