
Verso la fine degli anni trenta le ferrovie italiane potevano contare sull’utilizzo di tre tipi di locomotive elettriche a 3000 volts in corrente continua, tutte concepite secondo una filosofia di “interoperabilità“, ovvero di quelle scelte progettuali ideate dall’ingegner Giuseppe Bianchi che consentivano una piena compatibilità a livello di componenti, ricambi elettrici e meccanici tra i vari tipi di locomotiva in favore di una maggiore versatilità e minori costi di manutenzione. C’erano quindi le E.626, prodotte in 448 esemplari tra il 1928 ed il 1939, classiche locomotive tuttofare che hanno prestato servizio servizio fin verso la fine degli anni 80, delle quali esistono ancora 12 unità classificate come “rotabile storico” ad uso prevalentemente di tipo rappresentativo. A quei tempi queste locomotive venivano utilizzate nei più svariati servizi sia passeggeri che merci con prestazioni appena sufficienti, viziate da una parte meccanica la quale arrecava diversi fastidi ai deboli armamenti dell’epoca, per cui era conveniente che le E.626 non superassero i 95 km/h anche se in fase di prova erano stati raggiunti i 110 km/h senza apparenti problematiche. In quel periodo fu sperimentato un nuovo gruppo di locomotive, le E.326, progettato per servizi leggeri ad alta velocità (140-150 km/h) ma che ben presto risultò essere inadatto a tale scopo a causa del notevole passo rigido, delle ruote di considerevole diametro e di una trasmissione meccanica più adatta a mezzi tranviari che non ferroviari. La loro scarsa massa aderente, un molesto effetto “risonanza” ed altri problemi di ondeggiamento (serpeggio) nei tratti rettilinei fecero il resto, facendo si che il progetto E.326 rimanesse limitato a soli 12 esemplari, peraltro pesantemente danneggiati nel corso del 2° conflitto mondiale e che vennero in seguito ricostruiti. Infine le ferrovie italiane avevano a disposizione l’indimenticabile gruppo delle E.428, enormi, possenti, versatili, forti dei loro 2850 kilowatts assorbiti ma dalla scarsa massa aderente causata dal tipo di rodiggio.

Fu così che, anche a seguito di un aumento del traffico ferroviario in Italia, si rese necessario progettare un nuovo tipo di locomotiva che racchiudesse in sé tutte le innovazioni fino ad ora ottenute ma evitando assolutamente quei vizi funzionali che affliggevano i mezzi di trazione dell’epoca. Nel 1938 venne così ideato, grazie al lavoro dell’ingegner Alfredo d’Arbela e della suo equipe, un nuovo tipo di rotabile senza carrelli portanti, che costituì una importantissima nuova tappa nella storia delle ferrovie italiane, tra l’altro vanto ed avanguardia della propaganda politica di quei tempi. Tra i suoi punti forti la E.636 poteva contare su due semicasse articolate, le quali poggiavano su tre carrelli indipendenti tra loro; grazie a questo accorgimento il problema derivato da un eccessiva aggressività nei confronti degli armamenti non costituiva più argomento di eccessiva preoccupazione. Tale particolare permetteva una maggiore versatilità nell’uso lungo le linee maggiormente acclivi dell’intera rete ferroviaria italiana. Inoltre venne studiata una disposizione più uniforme e ragionata delle apparecchiature interne, garantendo così una equa distribuzione del peso (101 tonnellate) ed una maggiore massa aderente. Dal punto di vista elettrico vennero adottati gli stessi motori della E.626 (tipo 32R), opportunamente modificati ma che tuttavia non garantivano altro che una potenza relativamente bassa per i compiti che queste nuove locomotive dovevano svolgere. A causa di queste scelte le nasciture E.636 non erano che di fatto un aggiornamento delle vecchie E.626 ma tuttavia tali deficit progettuali, uniti a qualche problema di rumorosità causato dal sistema di trasmissione, non impedirono a questo nuovo gruppo di affermarsi in termini di versatilità ed affidabilità nel duro esercizio quotidiano. Vennero inoltre studiati due tipi di rapporto di trasmissione, i quali permisero di differenziare le E.636 in base all’utilizzo; un rapporto più corto (21/65) da impiegare nei tratti più difficili della rete ferroviaria, con una velocità massima di 95 km/h (portata a 105 nel 1948) ed uno più lungo (28/65) per una velocità massima di 120 km/h, oltre la quale la E.636 non poteva andare a causa di particolari limiti imposti da problematiche di tipo meccanico.

Il gruppo E.636 consta di tre serie di locomotive, così ripartite: la prima serie (dalla 001 alla 108) costruita dal 1940 al 1942, la seconda serie (dalla 109 alla 243) costruita dal 1952 al 1956 e la terza serie (dalla 244 alla 469), costruita dal 1957 al 1962.
Nel mese di Maggio del 1940 entrò in servizio la capostipite E.636.001, seguita da altre 107 unità costruite fino al 1943 da diverse industrie quali Breda, OM CGE, Reggiane-Marelli e Savigliano. La guerra intanto arrivò anche nel nostro paese e fu così che alcune unità vennero perdute a seguito delle ostilità (042, 068, 076, 078, 079 e 105). Terminato il conflitto ecco presentarsi la necessità di riprendere la costruzione di queste locomotive, le quali raggiunsero il ragguardevole totale di 469 esemplari suddivisi in tre sottoserie, nel periodo a cavallo tra il 1952 ed il 1962 (unità dalla 109 alla 469), comprese le prime 108 costruite durante la seconda guerra mondiale. Oltre ai già sopraccitati costruttori si aggiunsero altre industrie quali FIAT, TIBB, Pistoiesi ed Ansaldo. In quegli anni a seguire le innovazioni tecnologiche ed i vari miglioramenti contribuirono a rendere maggiormente affidabile questo riuscitissimo gruppo di locomotive, gettando le basi per ulteriori evoluzioni che si videro concretizzate con i gruppi E.646/45 ed E.656, per un totale di 1219 unità tutte derivate dal medesimo progetto. La E.636.001 è stata per lungo tempo accantonata a seguito di incidente presso il deposito locomotive di Palermo (più precisamente dal 1998) fino al 27 Marzo 2007, data in cui è stata demolita.

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La fine del gruppo E.636
Nel corso degli ultimi anni antecendenti il 2006, il numero di unità E.636 attive e circolanti si ridusse estremamente a seguito di accantonamenti e delle conseguenti demolizioni, che si verificavano in concomitanza a grossi guasti elettrici e/o meccanici oppure alla semplice scadenza di chilometraggio o di revisione. Le ultime E.636 circolanti nei primi cinque mesi del 2006, in precedenza assegnate alla “Divisione Cargo” di Trenitalia, risultavano cedute in affitto a società private (Del Fungo, Serfer ed LFI) e viaggiavano alla testa di treni merci, talvolta in doppia trazione, mentre in altre realtà come la Sicilia gli avvistamenti di queste locomotive in testa a treni passeggeri erano estremamente frequenti. Il resto oramai appartiene al mondo dei ricordi di quando le E.636, con la loro indimenticabile livrea castano-isabella dall’aspetto per nulla pulito, viaggiavano su e giù per la nostra penisola trasportando gli italiani con i loro sogni e le loro storie. L’auspicio è che, nonostante l’inarrestabile avanzata del progresso, le E.636 salvatesi dalle demolizioni e preservate sopravvivano il più a lungo possibile, come testimonianza di un gruppo di locomotive fondamentale per la storia del trasporto ferroviario italiano.





